Quello che si è tenuto a Roma, il 18 febbraio 2017, al Centro Italiano di Ricerche Fenomenologiche è stato un intricato ed intrigante dialogo sulla psicopatologia italiana ed europea. Il tema “Il contributo di Bruno Callieri e Arnaldo Ballerini alla psicopatologia e all’antropologia fenomenologica in Italia e in Europa” premetteva un tuffo nella storia della psicopatologia italiana. Callieri e Ballerini non sono più tra noi, ma di loro restano oltre le opere, guide di inestimabile valore, i floridi e viventi segni che hanno lasciato in coloro che con loro hanno percorso il viaggio in questo mondo. Noi che eravamo lì, non potevamo che accorgerci di quanto certi incontri toccano nel profondo e lasciano aperto uno spazio, una fenditura che ci porta al cospetto di questi due grandi maestri, il cui contributo è essenzialmente e profondamente nella sottile linea di congiunzione tra il prassico e il teoretico, come peraltro nella tradizione di quella psicopatologia fenomenologica di ispirazione Europea, che tra gli altri annovera Binswanger che, in un certo senso, viveva nella clinica in cui operava.
Quando Gilberto Di Petta ha poggiato sul tavolino i libri che furono di Bruno Callieri, l’atmosfera che circondava quella stanza piena di sedie occupate si animava, quasi come a segnarne un’iconica presenza. L’allievo che porta a spalla, nello zaino, il peso di quei libri che contengono notizie, nozioni, ma soprattutto le tracce indelebili di quell’operare a stretto contatto con l’umano, un umano che ancora oggi si continua, in alcune derive, a considerare alienus, ma che invece l’approccio fenomenologico lo ha lascito essere quello che in realtà è: l’alter. Questo allievo, mai stanco di portare il peso, ci rende partecipi, ci coinvolge, ci mette di fronte, come a voler creare una scena, una rappresentazione, ma a differenza dell’opera teatrale dove l’attore recita una parte, Di Petta ha scritto dinnanzi a noi la parte che stava interpretando. In questo presente operante, emergevano le figure di Callieri e Ballerini, incarnate in quell’allievo che mirabilmente delineava i contorni, lasciando emergere lo spirito che li accomuna, che poi è anche quello che la platea dei presenti giovani e meno giovani rappresentava, quello di continuare il discorso.
Di Petta ci ha mostrato quanto la spinta di Callieri verso la concettualizzazione e l’incontro con la Wahnstimmung sia un’apripista a quel mondo oscuro delle schizofrenie, e di come un maestro di tale calibro abbia stimolato a percorrere quelle vie oscure.
Di Petta ci ha riportati di fronte allo sforzo di Ballerini che ha percorso le vie della patologia di un eremitaggio, che ha poi dato vita alla loro opera scritta a quattro mani “Oltre e di là dal mondo” dove si può cogliere quanto la loro comune fatica li abbia portati presso l’essenza della schizofrenia.
Callieri e Ballerini non sono solo due illustri personaggi dello scenario della psicopatologia e dell’antropologia fenomenologica europea ma soprattutto due uomini che hanno creato le condizioni per tenere vivo lo sviluppo di una linea di ricerca ad orientamento fenomenologico, che peraltro ha reso possibile questo incontro.
Quando ha preso la parola Filippo Maria Ferro, gli animi già erano caldi ed appassionati, ma lui come sempre riesce ad arricchire il discorso, lo rende palpabile, odierno, distribuito nel tempo ma che ha sempre una certa dose di attualità nascente. È riuscito a farci cogliere l’essenza del continuare il discorso; infatti, ha attivato la discussione sull’attualità prassica dell’incontro terapeutico con il paziente psicotico, del come e del quanto siano necessari delle modalità d’approccio che analizzano non solo la storia del paziente, ma anche una certa preistoria.
Ferro ha alimentato una discussione impregnata di psicopatologia e fenomenologia, tale da tenere tutti inchiodati, rendendoci tutti partecipi attivi e passivi allo stesso tempo. Ci ha accompagnati dolcemente verso lo scenario delle situazioni, quelle limite ma anche quelle critiche, che accompagnano l’umano vivere e segnano passaggi e svolte, talvolta anche patologiche. In noi spettatori ha lasciato un segno, un segno che ci ha aperto a suggestioni di ricerca da intraprendere.
Un Grazie alla prof.ssa Angela Ales Bello moderatrice di un dibattito denso di psicopatologia che ha, come sempre, saputo essere ospitale come è la filosofia fenomenologica; un partner fedele per tutti quelli che vogliono testimoniare ed accompagnare quell’esistenze scagliate dentro il puro vuoto del nulla, proprio come “il tuffatore di Paestum”, tanto caro a Di Petta.
Giuseppe Ceparano
20 febbraio 2017