Pubblico, a distanza di 13 anni, la traduzione dell’articolo apparso nel 2006 sul “El Pais” in occasione del centenario della nascita di López Ibor, per iniziare a far conoscere al pubblico italiano un autore della Psicopatologia Spagnola, di cui tra breve sarà pubblicata la traduzione di una delle sue opere maggiori “Angustia Vitale”.
Nel Centenario di López Ibor
Antonio Espino, Juan Casco in El Pais 9 maggio 2006
Il 22 aprile di quest’anno, a 15 anni dalla sua morte, si è compiuto il centenario della nascita a Sollona (Valenzia) dello psichiatra Juan José López Ibor (1906-1991). Dal ritiro dalla Cattedra di Madrid all’inizio della transizione spagnola alla democrazia, la sua figura è stata tenuta con grande discrezione non senza rispetto. Siamo, sicuramente, davanti all’opportunità di riconsiderare il suo contributo con la prospettiva che apporta il passare del tempo. Per tutti gli attuali psichiatri, quelli che lo hanno conosciuto ed i più giovani, può essere, anche, l’opportunità di visitare quel periodo di rifondazione della psichiatria spagnola prodotto dal nuovo regime derivato dalla Guerra Civile, e poter intendere la sua influenza su determinati aspetti della psichiatria spagnola attuale nel suo duplice vertice accademico ed assistenziale.
Non è esagerato affermare che Juan José López Ibor fu lo psichiatra spagnolo più importante della dittatura, così come quello con i maggiori riconoscimenti internazionali. Vincolato dall’inizio ai settori nazional-cattolici del regime, la sua maggiore influenza si è sviluppata a partire dal 1960, nel momento in cui succede alla Cattedra di Psichiatria di Madrid ad Antonio Vellejo Nájera, che coincide nel tempo con l’arrivo dei tecnocrati dell’Opus Dei al potere e l’inizio del decollo economico nel nostro paese. La sua brillante carriera accademica corrisponderà quasi integralmente con il periodo della dittatura.
La sua idea di psichiatria è stata sostenuta, in maniera predominante, da due correnti di pensiero. In primo luogo, nell’ordine psicopatologico, si mantenne dentro i limiti della fenomenologia, questo è, quello dell’analisi formale delle strutture psicopatologiche coscienti, un’analisi ampiamente utilizzata come metodo d’approccio su tutte le organizzazioni psicotiche. Era questa una proposta iniziata dal giovane Jaspers, e sviluppata fino alle ultime conseguenze dalla psichiatria tedesca, specialmente dalla scuola di Heidelberg, con alla testa Kurt Schneider. López Ibor diffuse questo modello nel nostro paese – etichettato all’epoca da quelli vicini ad Antonio Vallejo Nájera come idealista ed eccessivamente filosofico – e legò gran parte della sua opera psichiatrica al destino di questa scuola, condividendo i loro successi (grande precisione nella delimitazione dei vissuti patologici ed un piacere innegabile per gli studi psicopatologici, che oggi appaiono dimezzati dalle moderne classificazioni psichiatriche) e i loro limiti (rigidezza formale, difficoltà nell’integrare gli apporti di altri campi e qualche disattenzione verso la significazione dei contenuti psichici).
In secondo luogo e nell’ordine psicologico – avendo dal rettore Laín Entralgo dell’Università Complutense l’incarico dell’insegnamento della Psicologia Medica –, si appoggiò ad una stratigrafia dell’anima umana – una tettonica della personalità, come gli piaceva dire – iniziata da Rothacker nel secolo XIX e perfezionata da Max Scheler, Ortega (Vitalità, anima e spirito) e Lersch, tra gli altri. In questa disposizione organizzata in strati – vitale, dell’anima e spirituale –, inserì molti dei suoi concetti chiave: angustia vitale, timopatie, nevrosi come patologie dell’animo, eccetera, sviluppati principalmente nel decennio dal 1950 e successivo.
A López Ibor gli si è rimproverato, di fronte al suo grande impegno nello sviluppo e consolidamento della psichiatria accademica, un certo disinteresse verso i problemi pratici dell’organizzazione dell’assistenza psichiatrica pubblica, rompendo in questo modo con la direzione riformista seguita dagli psichiatri della Seconda Repubblica e restando ai margini di una estesa sensibilità di tutta l’Europa democratica del postguerra. Fu uno scandalo assistenziale che aveva avuto l’occasione di vivere direttamente dal suo inizio nell’Istituto Psichiatrico Provinciale Valenziano e che, disgraziatamente, si manterrà per tutto il periodo del franchismo con uno stato di persistente indigenza e disconoscimento verso i diritti umani e assistenziali dei pazienti, specialmente della popolazione internata negli ospedali psichiatrici.
López Ibor, sempre attento ai venti di cambiamento, non tardò a comprendere, tuttavia, il valore delle nuove politiche psichiatriche pubbliche sviluppate nei paesi vincitori con la loro maggiore attenzione ai malati mentali (le comunità terapeutiche britanniche, i centri comunitari di salute mentale in EE UU, la politica del settore in Francia). Per questo, e pensando al suo prestigio ed influenza all’interno del regime, non guido né fu artefice di riforme che avrebbe necessitato con urgenza la psichiatria spagnola, specialmente a partire dall’accrescimento economico. La modernizzazione dell’assistenza psichiatrica ha dovuto aspettare, come tante altre cose, dell’arrivo della democrazia.
La sua maggiore influenza, pertanto, l’esercitò nell’ambito accademico. Dalla sua cattedra influenzò decisamente lo sviluppo e il consolidamento delle nuove cattedre, con uno stretto controllo sull’accesso alle stesse, se lasciamo ai margini, forse, la Catalogna, territorio occupato dal professor Sarró dal 1950. In questo processo restarono fuori Carlos Castilla e Luis Martín Santos, “le due persone più promettenti e brillanti di quelli che hanno fatto la Psichiatria in Spagna, nel loro caso all’interno della Cattedra di Psichiatria dell’Università di Madrid”, come scrive Laín Entralgo qualche anno dopo nel suo Scarico della coscienza.
Anche se nella sua giovinezza predicava una sorte di autarchia intellettuale, non la praticò. Al contrario, i suoi interscambi e collaborazioni con settori accademici di numerosi paesi e la sua presenza attiva in congressi internazionali furono di abituale atteggiamento: il suo momento stellare giungerà con l’organizzazione del IV Congresso Mondiale di Psichiatria a Madrid, nel 1966, dove fu eletto presidente dell’Associazione Mondiale di Psichiatria.
López Ibor, come altri medici della sua generazione, conta di un’estesa opera saggistica e di divulgazione, che esprimeva con toni emozionali diversi a secondo delle epoche in quanto stava attraversando il regime, mantiene una coerenza interna guidata da una religiosità cattolica dai lineamenti conservatori. In questo senso, nei suoi scritti si manifesta critico di fronte al mondo moderno emerso dalla mano delle democrazie europee – il postmoderno non giunse a percepirlo – con le sue componenti di secolarizzazione crescente, egemonia della tecnica, cambi di valori e “permanente crisi” dell’uomo contemporaneo. Molta della sua opera saggistica va a dispiegarsi, pertanto, nelle frontiere del culturale, del religioso, e del puramente psichiatrico, con un indiscutibile sigillo personale.
Senza dubbio si potrebbero trattare molte altre questioni di interesse per i professionisti della salute mentale: le componenti antropologiche esistenti nella sua visione della psichiatria, la sua posizione critica di fronte alla psicoanalisi freudiana, il particolare ruolo concesso alla psicoterapia nel trattamento delle nevrosi, la ricezione ambivalente della nuova psicofarmacologia (sarebbe stato a suo agio con il peso schiacciante che l’industria farmaceutica ha raggiunto oggi?), il disdegno per la sociogenesi dei disturbi mentali o, in un altro ordine di cose, i suoi scontri con la psichiatria repubblicana e dell’esilio o il suo atteggiamento di fronte ai distinti movimenti antipsichiatrici europei.
Oltre il necessario ricordiamo una grande figura della psichiatria del franchismo, l’analisi attenta della sua opera ed il suo comportamento nella società in cui gli toccò vivere, il centenario nella nascita di Juan José López Ibor dovrebbe servire per recuperare dal tempo storico attuale una parte del nostro passato anche recente e poterlo intendere – con le sue luce e ombre – in relazione al momento di riforme che vive la psichiatria spagnola.